Le chat di WhatsApp come prove fiscali : novità dalla Cassazione

Le chat di WhatsApp come prove fiscali: novità dalla Cassazione

Negli ultimi anni, le tecnologie digitali hanno trasformato il modo in cui comunichiamo, ma anche quello in cui le autorità conducono le indagini. In un’epoca in cui le conversazioni si spostano sempre più sulle app di messaggistica, una recente sentenzadella Corte di Cassazione ha confermato l’orientamento già delineato della sentenza n. 1254 del 18 gennaio 2025: le chat di WhatsApp possono essere usate come prove nei controlli fiscali.

Con la sentenza n. 8376 del 28 febbraio 2025, la Cassazione ha stabilito che i messaggi scambiati sulle app di messaggistica possono essere considerati prove documentali valide in caso di accertamenti tributari e procedimenti fiscali. Questo significa che le autorità, come l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza, potrebbero analizzare le conversazioni per individuare eventuali comportamenti di evasione.

Con la suddetta sentenza la Cassazione, afferma che il telefono cellulare, insieme ai dati in esso contenuti (incluse chat di WhatsApp e altri messaggi), possono essere sequestrati nell’ambito di un’indagine fiscale.
Tuttavia, affinché un cellulare e un suo contenuto possano essere sequestrati, si devono rispettare precise condizioni.
Infatti, il sequestro di uno smartphone non viene disposto in automatico: deve essere giustificato dalla necessità di acquisire prove rilevanti per un’indagine.

In particolare: 

 – Le autorità devono dimostrare che il telefono potrebbe contenere prove di evasione fiscale o di altri illeciti tributari;
– Il sequestro di dispositivi digitali deve essere disposto da un giudice che valuta la legittimità e la proporzionalità della misura;
– riguarda reati fiscali gravi: il semplice sospetto di evasione non è sufficiente. Il sequestro è più probabile in casi di frode fiscale, fatture false o occultamento di redditi.

Questa sentenza della Cassazione ha confermato che le conversazioni di WhatsApp possono essere sequestrate e utilizzate come prova in tribunale, analogamente a documenti cartacei o registrazioni contabili.

Tuttavia, la validità probatoria della chat dipende da alcuni fattori:

  • le autorità devono dimostrare che i messaggi provengono effettivamente dal soggetto indagato;
  • Il contenuto della chat deve essere integro e non alterato;
  • L’estrazione dei dati deve avvenire nel rispetto delle procedure legali, spesso con l’ausilio di periti informatici;
  • Rispetto della privacy: il sequestro deve essere proporzionato all’indagine e non può trasformarsi in un controllo indiscriminato della vita privata di una persona.

Di conseguenza viene stabilito che le chat di WhatsApp possono essere considerate prove documentali valide, a condizione che ne siano garantite l’autenticità e l’integrità. In particolare, gli screenshot delle conversazioni possono essere ammessi come prova, purché non vi siano contestazioni sulla loro genuinità. In caso di dubbi sull’autenticità, spetta all’amministrazione fiscale fornire elementi che dimostrino l’integrità e l’autenticità delle conversazioni.

E’ importante notare che, anche se una chat è stata eliminata dall’autore, un eventuale screenshot salvato da un altro soggetto può essere considerato valido come prova documentale, a condizione che il contenuto non risulti alterato o manipolato.
L’utilizzo delle conversazioni private come prove e l’accesso alle comunicazioni personali deve essere effettuato nel rispetto delle normative sulla privacy e solo quando strettamente necessario per l’indagine.
Questo adeguamento alle nuove tecnologie offre alle autorità strumenti più efficaci e attuali per contrastare l’evasione fiscale, pur richiedendo un necessario e attento bilanciamento con la tutela della privacy dei cittadini.

E’ essenziale che l’acquisizione e l’utilizzo di tali prove avvengano nel pieno rispetto delle normative vigenti, garantendo si l’efficacia delle indagini, ma anche la protezione dei diritti individuali dei singoli cittadini.